La  Villa

La Villa racchiude in se un’indiscusso gesto di amore e simboleggia l’importanza della famiglia, così Alberto Giacomini la volle chiamare “Villa Adua” dedicandola all’amata moglie.

Giuseppe Giacomini

Le Origini

Villa Adua è la casa voluta dal Cavaliere Alberto Giacomini all’inizio degli anni ’60 come luogo per lui più sacro e intimo, realizzato infatti con il granito della cave di Madonna del Sasso dove per lunghi anni aveva lavorato suo padre, Giuseppe Giacomini, il quale nella costruzione della casa diede il suo apporto in termini affettivi, di lavoro pratico e sudore considerando che era tutto ciò che a livello personale allora poteva dare per contribuire con orgoglio, arrivando da una realtà povera, al figlio Alberto. Infatti tutte le pietre che compongono la casa arrivano da blocchi portati dalle cave nel giardino della Villa e qui, dai singoli massi, scolpito a mano sui quattro lati ogni singolo parallelepipedo che costituisce la casa.
La casa fu concepita da Alberto Giacomini che nella sua infanzia aveva vissuto assieme agli altri suoi sei fratelli e una sorella in una dignitosa ma umile casa di un padre scalpellino morto poi di silicosi e di Giuseppina Fortis, che dovendo accudire i numerosi figli, cercava di aiutare la famiglia facendo saltuariamente la sarta. Il numero di famigliari e le dimensioni dell’allora abitazione sita nel comune di Madonna del Sasso –  oggi diventata museo dello scalpellino – , fece sì che sostanzialmente, come Alberto stesso raccontava, dovessero dormire  in due per ogni letto singolo, posizionandosi per comodità mettendo l’uno la testa ai piedi dell’altro. Letto che lui divideva con Mario Giacomini.
Nella casa, come lui stesso raccontava, sulla stufa a legna durante tutto l’arco della giornata c’era un padellino che conteneva acqua e qualche ortaggio o legume che man mano, a seconda di ciò che si trovava, veniva integrato, considerando che la famiglia non disponeva allora di animali da cortile o da mungere.

Il Progetto

Così quando venne realizzata Villa Adua, al pari di come quando fondò nel ’51 con i soldi prestati da una zia in una stalla di 3m x 2m la Giacomini Spa, volle subito negli anni successivi inserire al suo fianco lavorativo, oltre all’amata Adua – presente fin dall’inizio – i fratelli Gianni, Piero, Mario, Gino e la sorella Maria Pia, quando concepì l’idea della nuova casa la concepì essendo il primo dei fratelli a realizzarla per poter accogliere non solo la sua stretta famiglia, ma anche in momenti di festa e nei fine settimana oltre che in estate, genitori, suoceri, fratelli e parenti tutti fornendo così a beneficio di tutti i servizi che per anni non avevano potuto conoscere e di cui non avevano avuto modo di potersi permettere.
Quindi le dimensioni richieste all’architetto Gino Bozzetti nella realizzazione della casa non erano in alcun modo, non stando per nulla nell’indole di Alberto Giacomini – persona sempre fino ai suoi ultimi anni di vita – umile, dettati dal fatto di creare una casa di grandi dimensioni ma più che altro lo spazio necessario a contenere un ampio numero di affetti e famigliari, da vedere sin dall’inizio e negli anni contornate dal calore famigliare e dalle risate e schiamazzi dei figli e bambini, oltre che la gioia degli adulti e amici che con lui in piscina o nell’amato gioco delle bocce si intrattenevano.

Villa Adua

La casa, con un indiscusso gesto di amore e di senso dell’importanza della famiglia, imprescindibile e sacrosanto nel tempo, la volle chiamare “Villa Adua” dedicandola così alla moglie, mia madre. Donna che oltre ad accudire la famiglia, sin dai primi anni operativamente con amore, lavoro e fatica era stata al suo fianco, occupandosi contemporaneamente dei figli e del lavoro manuale dell’allora piccola realtà aziendale.
Che tale casa fosse il simbolo di tutto ciò sopra esposto, quindi più che una struttura sinonimo di un cuore famigliare, lo ha dimostrato e lo dimostra l’assiduo impegno personale e individuale negli anni di Adua nel mantenerla -in senso positivo- ossessivamente e puntigliosamente pulita e in ordine in ogni suo microscopico angolo a dimostrazione e fattivo gesto del fatto che quando lei come le altre mogli è uscita dall’operatività aziendale si è dedicata con la stessa dedizione e stesso impegno, come un vero e proprio lavoro giornaliero, a quello che era la famiglia e la casa.
Così come per Alberto la Giacomini Spa era il suo primo “figlio”, così Villa Adua – come lui era solito dire – era il suo paradiso e mia madre con un’ineguagliabile senso del dovere, della famiglia e del rispetto verso mio padre, oltre che indubbiamente di amore, questo paradiso l’ha preservato, accudito e protetto.

Alberto e Adua, Dario Filzoli con in braccio Elena Giacomini, Ida, Erasmo Filzoli

Villa Adua

Per la realizzazione di questa casa mio padre nel ’60 si imbatté ad Omegna in una casa – a detta sua – futuristica per i canoni estetici ed architettonici del tempo. Essendo lui un imprenditore che già tra il ’56 e i primi anni ’60 era stato negli Stati Uniti e aveva creato dei brevetti -poi innumerevoli- oltre che aver girato buona parte degli stati dell’ Europa aprendo già delle filiali, vide nell’autore di quella casa una mente e un architetto brillante, informandosi apprese che si trattava dell’arch. Gino Bozzetti di Brescia e si premurò quindi di contattarlo e conoscerlo per dargli incarico della realizzazione al suo fianco del progetto della sua amata casa.
L’arch. Gino Bozzetti dopo la casa di Alberto realizzò le Ville di Piero e Gianni Giacomini, ulteriori espressioni di una mente avanguardista per l’epoca, e oltre a queste in zona di sole altre due abitazioni di dimensioni molto più contenute, dedicandosi poi con successo esclusivamente ad interventi di recupero e preservazione con la sovrintendenza di Bergamo e Brescia. Della sua capacità artistica c’è una testimonianza nel murales del Museo delle Arti e delle Scienze nel centro di Milano.
Negli anni Alberto Giacomini, come disse lo stesso Gino Bozzetti, presenza attiva e a volte ingombrante per la ferma volontà di dare un contributo estetico e personale, diventarono negli anni fino al momento della morte di Alberto sinceri e affiatati amici, tanto che dal 2000 al 2008 Alberto Giacomini assieme all’arch. Giorgio Giacomini richiamarono Gino Bozzetti per coinvolgerlo nel progetto che stavo loro particolarmente a cuore, del master plan di Punta Abona di Tenerife.

L’Architetto

Gino Bozzetti, era nato a Brescia il 15 febbraio 1926. Nel fervido clima culturale del primissimo dopoguerra, s’iscrisse nel 1946 alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, di cui era preside Piero Portalupi. Essendo obbligatoria la frequenza ai corsi, la metropoli lombarda divenne non solamente la città della seconda formazione, ma anche di residenza e di lavoro ben oltre la laurea, per oltre un trentennio, fino al 1978.
Nel 1950 Vittorio De Sica girò nella periferia della metropoli lombarda il film «Miracolo a Milano». Gino Bozzetti rimase colpito dal set di Lambrate dove era stato trascinato da un compagno di studi. Fu soprattutto emozionato dai barboni, dai baraccamenti, dal caotico disordine da cui sprigionava una grande atmosfera. Gli fu naturale chiedere di poter tornare per disegnare alcuni scorci di quell’umanissimo marasma. Non poteva certo immaginare che quelle chine, nate da un’emozione e realizzate senza alcuna precisa finalità, sarebbero state foriere di un imprevedibile successo. Le tavole suscitarono interesse, infatti, non solo fra i cinematografari, che le mostrarono allo stesso De Sica, il quale avrebbe voluto trattenerle (forse per riprodurle come sfondo ai titoli di testa), ma anche nell’ambiente universitario. Il prof. Egizio Nichelli, in particolare, si dimostrò a tal punto sorpreso dalla freschezza del segno da mostrare le chine a Gio Ponti. Il maestro apprezzò a sua volta l’originale vena creativa e non esitò a pubblicare alcuni disegni sulla prestigiosissima rivista «Domus». Fu quello il primo e inatteso successo di Bozzetti come artista. Anche se poi, nella vita, il disegno e i lavori al cavalletto – pur con opere importanti – rimarranno sempre l’aspetto quasi segreto della sua attività creativa, perchè prese il sopravvento la professione di architetto e il legame con il Politecnico dove Enrico Garbagnati lo volle come assistente ai corsi di Disegno dal vero.

A soli due anni dalla laurea il giovanissimo professionista, associato al proprio docente prof. Nichelli, ottenne un’affermazione di rilievo nazionale, annunciata da prestigiose testate: il primo premio al concorso per la realizzazione della piscina di Viale Zara, progetto segnalato dalla stampa come esempio di architettura moderna. Un’altra importante realizzazione, superata la soglia dei trent’anni, si concretizzò nel 1960 con la prima delle cinque ville, e altre opere impegnative, sul lago d’Orta, a San Maurizio d’Opaglio, un insieme che si può considerare la sua più significativa e innovativa realizzazione in ambito architettonico.
Progettò a Brescia i quartieri residenziali della Pendolina e di Urago Mella ed elaborò il piano di fabbricazione di Lonato. Ma fu il 1969 l’anno decisivo del rientro con l’apertura del cantiere per il recupero dell’antica Casa dei Camerlenghi di piazza Duomo dove seppe coniugare l’antico con il moderno.
Il prestigio di restauratore offuscò, in certo qual modo, quello di progettista innovativo. Fu subito impegnato nel recupero di palazzi e di antichi edifici, a cominciare dalla Loggia delle Mercanzie di Corsetto Sant’Agata. In circa quarant’anni sono stati una quarantina gli edifici privati e pubblici – case, cascine, palazzi, torri, chiostri, chiese – restaurati da Bozzetti in città e in provincia e di cui, ovviamente, non è qui possibile segnalare storie e vicende progettuali. Tra le decine è almeno da ricordare il più importante restauro pubblico attuato dal 1985: quello dei due Palazzi Martinengo di proprietà dell’Amministrazione Provinciale.
E’ scomparso all’età di 88 anni il 6.9.2014.